Secondo diversi modelli interpretativi, le imprese migranti (i.e. imprese in cui almeno uno dei proprietari è straniero e proveniente da un paese in via di sviluppo) possono contribuire alla crescita economica e al rinnovamento sociale dei paesi ospitanti. Per questo motivo sono un oggetto di studio che attrae un interesse crescente.
Si è sempre ritenuto che le imprese migranti agissero all’interno delle cosiddette economie di enclave, vale a dire contesti nei quali la vita delle comunità di appartenenza risulta essere completamente staccata dal contesto economico e sociale che le circonda. Un luogo in cui input e output economici nascono all’interno della comunità e sempre lì si esauriscono.
Negli ultimi decenni, diversi autori hanno fornito evidenze relative alla crescente varietà di imprese migranti e alla loro evoluzione verso attività economiche che per molti aspetti travalicano le economie di enclave.
Imprenditori migranti che attraversano i confini del mercato delle enclave e che entrano nei mercati tradizionali hanno bisogno della capacità di attirare risorse per le loro imprese, come ad esempio capacità di gestione, informazioni di mercato e conoscenze tecnologiche.
A tale proposito, diversi studi si sono concentrati sull‘ingresso nei mercati di massa da parte di imprenditori migranti. Da queste analisi emerge una forte propensione ad utilizzare reti di supporto esterne e soluzioni organizzative basate sull’ibridismo multiculturale, ovvero l’impiego di risorse umane etnicamente diverse rispetto all’imprenditore.
Uno studio di particolare interesse è quello realizzato da Arrighetti, Bolzani e Lasagni dal titolo “Beyond the enclave? Break-outs into mainstream markets and multicultural hybridism in ethnic firms”. Basato su un campione di 130 imprese migranti operanti nelle provincie di Parma e Bologna, lo studio evidenzia come gli imprenditori migranti siano in grado di fornire nuove tipologie di servizi e di estendere la varietà dei prodotti offerti, anche su mercati a cui accede la popolazione autoctona. Di fatto, fra i dati più rilevanti (vedi grafico in alto), si evince che il 72% della clientela servita dalle imprese migranti è di nazionalità italiana e la percentuale dei fornitori italiani che servono questo tipo di imprese si attesta attorno al 78%. Ciò dimostra che gli imprenditori migranti non utilizzano soltanto risorse della comunità di appartenenza, ma sono capaci di valorizzare opportunità associate ai mercati locali e possono costruire legami economici forti con la comunità autoctona. Di fatto, anche la posizione geografica dei clienti e dei fornitori attesta che, con l’aumento della complessità organizzativa e della varietà delle strategie adottate, cresce l’apertura dell’impresa a soggetti (clienti, fornitori, soci e dipendenti) provenienti da comunità diverse da quelle di origine dell’imprenditore.
Con riferimento all’ibridismo multiculturale, le analisi empiriche rivelano che circa nel 40% delle imprese del campione è presente più di un gruppo etnico. Questo dato dimostra quanto queste imprese siano ben radicate nei rispettivi territori, sia a livello economico che a livello sociale.
Le determinanti dell’ibridismo multiculturale sono da ricercare nella composizione e dimensione del team imprenditoriale, nell’età dell’azienda e nelle competenze linguistiche degli imprenditori. Ciò suggerisce che il rafforzamento delle relazioni interetniche e l’adozione di soluzioni ibride richiedono tempo per essere pienamente implementate. Inoltre, non emerge alcuna differenza significativa in termini di risultati educativi tra imprese ibride e altre imprese di proprietà di immigrati.
In conclusione, è possibile affermare che le imprese migranti con connotazioni “ibride” risultano caratterizzate da un orientamento molto marcato verso i mercati di massa e da un’offerta di prodotti e servizi ad una popolazione di consumatori in prevalenza non co-etnica